RITORNO A PASIDONIA
Introduzione
Nel tempo sono state scritte e raccontate molte storie
aventi come scenario di riferimento il Meridione d'Italia, e troppe forse ispirate
ai problemi dell'emigrazione dalle regioni del Sud, con i laceranti distacchi
e i difficili adattamenti in terre lontane, la nostalgia degli sradicati, spesso
motivo di sofferti ritorni.
Nello spirito di questo libro, vale però la pena
ricordare una di queste storie di espatri, raccontata non da uno scrittore ma
da un regista. Si fa riferimento a Pane
e cioccolata, un buon film diretto da
Franco Brusati e magistralmente interpretato da Nino Manfredi. A parte alcune
topiche socio-politiche, i luoghi comuni etnici e una certa dose di retorica populista
(l'epoca, il 1974, lo imponeva), il film mostra con occhio spietato, non esente
da un lirismo forte e scabroso, le vicende di un emigrato in Svizzera e la sua
parabola lavorativa che, iniziata bene, raggiunge un apice ottimale, ma poi inesorabilmente
precipita verso il fallimento e conduce il protagonista allo spaesamento, inteso
nel senso letterale del termine: lasciato con la misera valigia sulla linea ferroviaria
alla frontiera tra Svizzera e Italia. Egli si sente respinto dal Paese dove ha
invano tentato la fortuna, e allo stesso tempo angosciato dalla prospettiva di
dover ritornare in quello da cui è dovuto andar via per bisogno, in quanto sa
che ritroverà gli stessi problemi di sempre, ma soprattutto la solita gente rumorosa,
scomposta, avvilita e resa prona da secolari soprusi e mortificazioni. A quel
punto due sono le strade: l'alienazione in un limbo senza identità umana e anagrafica,
o il ricorso alla fede, all'intervento provvidenziale. Il film non indica l'opzione
scelta dall'interessato, lasciandone l'esito all'acume e alla fantasia degli spettatori.
Con diverse modalità, anche il protagonista di Ritorno
a Pasidonia, Andrea, viene a trovarsi
sulla linea di confine con una terra di nessuno. Non appartiene ormai piú agli
Stati Uniti, Paese dove pure ha trovato la fortuna economica, ma al quale non
si è mai legato sentimentalmente, e non riesce a reinserirsi in una società, quella
dei suoi concittadini, che ha svenduto la propria anima per un edonismo di comodo
e un profitto aleatorio, ottenuti a scapito dei valori morali. Un'anima che si
nutriva di favole e miti, di metafisici umori, di devozione e rispetto per l'umano
e il divino. È questa l'anima che cerca di ritrovare Andrea, partito da Pasidonia
prima che il progresso materialistico ne stravolgesse la segreta armonia.
Egli si rende conto che non basta recuperare oggetti
e reliquie per ritrovare quell'essenza perduta, e poiché nulla lo aiuta in tale
opera di riacquisto, soprattutto i referenti politici e morali che avrebbero il
còmpito di farlo, Andrea viene a trovarsi nella stessa condizione di inappartenenza
dell'emigrato interpretato da Manfredi.
E cosí, come avviene nei casi disperati in cui la
scelta è tra l'alienazione e la fede, dall'anima oppressa del protagonista erompe
una muta invocazione al miracolo. Che non verrà negato, e sarà pegno di riscatto
e redenzione per Andrea e per l'intera comunità di Pasidonia, dolente nell'interiorità
benché gratificata in apparenza.
Questo libro tenta di raccontare la storia di tale
miracolo.
(L'Autore)
Introduzione
a Ritorno
a Pasidonia, di Fulvio Di Lieto,
© Edilibri 2002