L'ANGELO DEI NUOVI TEMPI


Prefazione

In una indimenticabile pagina dei Colloqui con Goethe, alla data 11 marzo 1828, si può leggere una singolare considerazione del vate di Weimar, che, amareggiato dal corso dei suoi tempi, così confessa al segretario Eckermann:
«Per noi tutti, vecchi europei, le cose vanno più o meno proprio male. Le nostre condizioni di vita sono regolate in modo troppo artificiale e complicato, il nostro nutrimento e il nostro modo di vivere sono contro natura e i nostri reciproci rapporti senza vero amore e senza benevolenza. Ognuno è cortese e ben educato, ma nessuno ha il coraggio di essere naturale nei suoi sentimenti e sincero. Ne consegue che una persona che sia onesta e possegga tendenze e sentimenti naturali si trova a disagio. Sovente ci si potrebbe augurare di essere nati in una delle isole dei mari del sud o di essere un cosiddetto selvaggio per godere, sia pure per una sola volta, la vita umana nella sua purezza e senza alcuna sovrastruttura. Se, nei momenti di scoraggiamento, si pensa bene addentro alla miseria del nostro tempo, si ha l’impressione come se il mondo fosse vicino al giorno del giudizio. E questo male aumenta di generazione in generazione! Perché non basta che noi si debba soffrire per le colpe dei nostri padri, noi consegniamo, ai nostri discendenti, questi ereditati malanni aumentati dei nostri mali».
A due secoli di distanza, le parole del poeta tedesco si rivelano terribilmente attuali, tanto che non solo le più avvedute personalità della cultura, ma l’uomo comune si chiede di giorno in giorno: dove va il nostro tempo? Molti, troppi segni ci fanno comprendere che la civiltà moderna, di stampo occidentale, è giunta, come non mai, a un bivio: la globalizzazione economica, che, in quanto componente del "villaggio globale", è un’irrefutabile esigenza del presente, ha finito con il reprimere la produttività umana, concentrando le risorse della Terra nelle mani di pochi, le scoperte tecnologiche hanno snaturato il mondo dell’alimentazione con l’invenzione degli "organismi geneticamente modificati", la scienza medica continua a valicare i limiti della bioetica attraverso le ricerche sulla clonazione umana e animale, infine la realtà conflittuale del Medio Oriente rischia di assumere le proporzioni di uno scontro di civiltà, sul quale pesa fortemente l’enorme iato economico che separa il Nord dal Sud del mondo.
Questi sono i sintomi più evidenti del malessere del nostro tempo, ma l’eziologia di un tale disordine è, a ben vedere, una sola: la natura "faustiana" dell’uomo moderno, per dirla ancora con Goethe, che si sente spinta a credere soltanto a se stessa, a perseguire la sua impresa titanica di dominio della Terra, a erigere ancora una volta una spettacolare torre di Babele.
L’umanità sta dimenticando un grande insegnamento del passato, patrimonio delle più lontane filosofie e religioni, ovvero che l’uomo – che si chiami Prometeo o Adamo – non può dar libero corso alla sua hybris, al suo orgoglio mortale, ma ha dinanzi a sé dei limiti, stabiliti dalla sua stessa natura e preordinati dal mondo spirituale. Quando li travalica non fa che ripetere il peccato antico: se sale troppo in alto e dà eccessivo credito ai suoi sogni di potenza, finisce con il precipitare nell’abisso, come il dèmone Lucifero; se dimentica la sua vocazione celeste e si radica troppo nella materia, ne resta prigioniero e s’indurisce al pari di essa, come il dèmone iranico Ahrimane. Lucifero e Ahrimane potrebbero essere dunque le immagini mitiche di questa duplice tendenza umana ad ascendere troppo in alto e a recludersi troppo in basso, nel grigio apparire fenomenico.
La salvezza dell’uomo potrà venire soltanto dalla conoscenza di queste forze polari o, per meglio dire, dall’autoconoscenza, che fa di ciascuno di noi un consapevole portatore dell’Io, un microcosmo organico contenuto nel macrocosmo universale. L’uomo della nostra epoca – benché sia attento alla ragione, alla coscienza, alla personalità – non sa ancora di essere un detentore dell’Io spirituale: attende ogni volta di trarre le sue ragioni, la sua coscienza, la sua personalità da un’attività pensante che è arido riflesso, morta copia della meccanicità dei fenomeni, dell’ordine necessitante delle cose: di quell’"immane potenza del negativo", che l’uomo è chiamato ripetutamente a volgere in positivo, come insegnava Hegel. Infatti l’azione dell’Io non è ancora iscritta nel divenire delle cose, essa permane soltanto nell’ambiente interiore dell’uomo: nelle cose noi troviamo la manifestazione dell’intelligenza o della vita – un ragno che tesse la tela o un fiore che sboccia – ma non ancora l’agire morale dell’Io. Compete all’uomo far penetrare questa forza tra i fenomeni come una realtà extranaturale.
Quando attraverso l’evoluzione spirituale l’essere umano giungerà a questa autocoscienza, allora finirà di violare le leggi della natura: desisterà dal trattare la natura come una cosa esterna a sé, anzi inferiore a sé secondo istintivo dualismo; vedrà, al contrario, i regni naturali come parte del suo stesso essere, gradini progressivi di quella creazione che fa dell’uomo il coronamento dell’esistere, signore e nel contempo debitore dei regni naturali.
Questo dualismo "selvaggio" fra ragione e natura impedisce inoltre all’uomo d’oggi di ravvisare nell’altro il principio divino e spirituale che anima l’Io. E anche questa dovrà essere una conquista dei nuovi tempi. Anticamente l’individualità non aveva lo stesso valore che è chiamata ad avere nel presente. Alcuni millenni fa non era ritenuto tanto un male uccidere il singolo quanto violare la comunità: il Dio biblico invitava alla guerra contro i cananei per preservare il suo popolo allo stesso modo in cui il dio hindu Krishna esortava il guerriero Arjuna a uccidere i nemici della sua tribù. Oggi la vita umana ha un più alto valore, perché, fosse anche inconsapevolmente, è portatrice dell’Io – della forza che il sacrificio del Cristo ha depositato nei singoli cuori.
Eppure – a voler ritornare all’assunto goethiano da cui siamo partiti – sarebbe anacronistico sostenere che nel nostro tempo ci siano esclusivamente segnali infausti. Ci sono, in verità, molteplici istanze ideali, accomunate dalla necessità di trasformare radicalmente il vivere quotidiano in base a una rinnovata visione dell’uomo, al bisogno di un nuovo pensiero adamantino, celeste, vivente. Anzi proprio sulla natura del pensare, quale fonte di moderne certezze spirituali e propulsore di quell’agire morale che crea solide comunità dello spirito, punta molta parte della libera ricerca interiore del nostro tempo. Ne fanno fede l’attuale riscoperta e divulgazione di molti temi spirituali che secoli fa erano destinati a essere coltivati in ristrette cerchie e che ora sono pressoché alla portata di tutti, appunto perché ognuno di noi, in quanto dotato di Io, può comprenderli: si pensi alla diffusione delle discipline meditative orientali, dei principi e delle tecniche della medicina ayurvedica, tibetana o cinese, verità un tempo appannaggio di sciamani, sacerdoti o veggenti e ora apprezzabili dal vasto pubblico; si pensi alla recente riscoperta dell’angelologia, alla divulgazione delle discipline tantriche hindu e buddhiste, del complesso mondo della Qabbalah ebraica.
È come se tutto questo sapere segreto – questa "scienza occulta" – dovesse dare i suoi tardivi frutti proprio nella nostra epoca: come se illo tempore i lontani saperi avessero puntato i loro orologi alla fine del secondo millennio per destarsi insieme con lo scopo di preservare la civiltà dalla consumazione e indurre l’uomo a un nuovo salto del destino. Di fronte a questo fervore "esoterico" esploso negli ultimi decenni mi sovviene ripetutamente il detto del Cristo: «Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti» (Mt 10, 27).
In questa vasta opera di riconquista delle verità spirituali un tempo coltivate in ambienti esclusivi, se non addirittura in confraternite iniziatiche, è di sostegno all’umanità l’ispirazione dell’Angelo dei nuovi tempi, conosciuto dalla civiltà ebraico-cristiana sotto il nome di Michele, ma noto con altri nomi anche ad altre società e religioni. Molte culture del passato hanno colto – come si vedrà – la missione sovratemporale dell’angelo Michele, dalle credenze egizio-babilonesi ai Veda indiani, dalle scritture buddhiste ai miti greci. Non è facile comparativismo, al contrario è prospettiva diacronica e fenomenologica della storia.
Il cammino "umano" dell’angelo più caro alla nostra tradizione ci rivela che egli ha da sempre accompagnato l’evoluzione interiore dell’umanità, dandole di volta in volta il dono dell’intelligenza, la luce del pensiero cosciente. Michele ha guidato il patriarca Abramo verso la terra di Canaan, ha vigilato sull’esodo di Israele dall’Egitto, ha sostenuto la diaspora cristiana verso l’Europa pagana, ha ispirato la ricerca del Graal, ha parlato alla mente di Hegel e di Goethe, al cuore di Novalis.
Un comune percorso spirituale attende pertanto Oriente e Occidente nel terzo millennio: il riconoscimento della signoria dell’arcangelo Michele sui nostri tempi, quale, secondo diverse fonti, si è concretizzata a partire dall’anno 1879. Da oltre un secolo – come si dirà approfonditamente nelle pagine seguenti – l’angelo del pensiero celeste guida l’uomo a liberarsi dalla corazza dell’egoismo materialistico: promuove il superamento degli steccati ideologici a favore degli ideali universali, incentiva l’incontro fra i popoli e le religioni, sollecita, in particolar modo, le istanze della nuova religiosità "sofianica" incentrata sul volto femminile del Divino e incarnata, anche se in diversa misura, da precise tendenze delle tre grandi fedi monoteiste. Destando l’intelligenza cosciente di ogni essere umano, Michele penetra infine nei cuori, ove suscita l’esperienza cristica del male e del dolore, affinché ciascuno di noi possa ravvisare in sé l’«Io sono» e tessere il suo personale dialogo con un tale Maestro interiore.
I dodici capitoli raccolti nel libro derivano da altrettante conferenze da me tenute in alcune città del nord Italia (Milano, Trieste, Varese, Trento) nell’ambito di iniziative culturali per lo più connesse alla Scienza dello spirito. Pertanto lo stile e il periodare del testo potranno talora riflettere le semplici esigenze della comunicazione orale; ma non si è voluto mutare questa veste del discorso, per offrire al lettore una pagina viva, che solo l’afflato della parola può alimentare.
Gabriele Burrini

Prefazione a L'angelo dei nuovi tempi, di Gabriele Burrini, � Edilibri 2003

Home