Giuseppe Cottolengo. Detti
e pensieri
Cenni biografici di san Giuseppe Benedetto Cottolengo
Giuseppe Agostino Benedetto Cottolengo nacque a Bra (Cuneo) il 3 maggio 1786 e
morì a Chieri, in casa di suo fratello canonico, il 30 aprile 1842. Primogenito
di dodici figli, di cui sei morirono in tenera età, apparteneva a una famiglia
della media borghesia; un suo fratello, Luigi, divenne pure sacerdote e canonico
nella Collegiata di Chieri, mentre un altro fratello, Ignazio, entrò tra
i domenicani, assumendo il nome di fra Alberto.
Nel considerare la vita del Cottolengo si può ricordare che appena cinque
giorni dopo la sua nascita, nella vicina Francia, nei pressi di Lione, vide la
luce Giovanni Maria Vianney, il santo curato dArs, che morirà poi
nel 1859. Questi fu un modello di azione pastorale, il Cottolengo fu un modello
di attività caritativa verso chi è sofferente e abbandonato. I due
santi hanno interpretato, nella stessa epoca, due aspetti fondamentali e complementari
della vita della Chiesa. Si può anche ricordare don Bosco che inizierà
la sua incisiva attività educativa tra i giovani a pochi passi dalla Piccola
Casa, a Torino, poco dopo la morte del Cottolengo.
Dopo aver compiuto gli studi ecclesiastici, in parte a Bra e in parte nel seminario
di Asti, il Cottolengo fu ordinato sacerdote nel 1811 e nel marzo del 1816 conseguì
la laurea in teologia presso la Regia Università di Torino.
Trasferitosi a Torino nel 1818, perché cooptato tra i canonici addetti
alla chiesa del Corpus Domini, per un decennio svolse la sua attività pastorale
e spirituale, analogamente a tanti sacerdoti torinesi. Nel frattempo, però,
si faceva strada in lui lesigenza di vivere in modo più significativo
la propria vita sacerdotale. Voleva entrare tra i Filippini, fondati da san Filippo
Neri e presenti a Torino, ma ne fu dissuaso dal suo confessore il Padre Fontana.
Il 2 settembre 1827 si verificò la svolta fondamentale della sua vita.
Fu chiamato al capezzale di una donna, madre di tre bambini, non accolta negli
ospedali cittadini e fu spettatore della sua morte.
Fortemente colpito dal triste episodio e dopo una particolare preghiera nella
chiesa del Corpus Domini a Torino davanti al quadro della Madonna delle Grazie,
decise di dare inizio a una piccola infermeria per evitare il ripetersi di simili
casi.
Il 17 gennaio 1828 aprì in Torino, via Palazzo di Città, il "Deposito
de poveri infermi del Corpus Domini", nel quale ricoverò ammalati
che non trovavano accoglienza negli ospedali cittadini.
Nel settembre del 1831, a causa del colera che serpeggiava a Torino, dovette chiudere
la piccola infermeria per disposizione della pubblica autorità. In tale
occasione il Cottolengo, con fine umorismo illuminato dalla fede, disse o fece
capire «che i cavoli trapiantati riescono meglio».1
Infatti, alcuni mesi dopo, il 27 aprile 1832, riaprì in Borgo Dora la sua
attività caritativa sotto il nome di Piccola Casa della Divina Provvidenza
sotto gli auspici di San Vincenzo de Paoli, in seguito comunemente
detta "Il Cottolengo".
In tale istituzione diede vita a varie forme di assistenza: malati esclusi dagli
altri ospedali, persone disabili, epilettici, sordomuti, invalidi, scuola dinfanzia,
attività educativa a favore di ragazzi particolarmente bisognosi.
Contrariamente agli altri istituti assistenziali contemporanei, il Cottolengo
intraprese e sostenne la sua Opera fidando unicamente nella Divina Provvidenza
la quale, come egli scrisse al Re, "per lo più adopra mezzi umani",
cioè la carità dei benefattori.
Per lattività educativa e assistenziale verso le varie categorie
di persone accolte nella Piccola Casa, dapprima si avvalse di volontari, per lo
più donne, poi nellestate del 1830 fondò una congregazione
di suore; verso la fine del 1833 diede inizio a una comunità di religiosi
laici, i Fratelli, e successivamente, nel 1839, diede vita a una comunità
di sacerdoti. Queste tre comunità ebbero lo scopo di coadiuvarlo e di continuare
nel tempo a realizzare il suo ideale di carità, da lui considerato e vissuto
come una grazia della Divina Provvidenza e di Maria Santissima.
Circa lanelito alla carità da parte del Cottolengo, a modo di sintesi,
si può riportare quanto scrisse Silvio Pellico pochi giorni dopo la sua
morte: "Poche volte mi trovai a parlare collottimo Cottolengo e
sempre la carità mi sfavillava dai suoi occhi e dalle sue parole".2
Essa era quindi diventata il suo tratto caratteristico.
Negli ultimi anni della sua vita, tra il febbraio 1840 e il giugno 1841, fondò
anche cinque monasteri di vita contemplativa, di cui quattro femminili e uno maschile
(questultimo durò solo dieci anni). La fondazione di questi monasteri
fu una visibile espressione istituzionale del primato di Dio costantemente vissuto
e inculcato dal Cottolengo.
Il Cottolengo alla sua morte lasciò un complesso assistenziale di circa
1300 persone, con molte suore al servizio di ospedali e di altre istituzioni caritative
del Regno di Sardegna.
Come motto della Piccola Casa pose la frase di San Paolo "Caritas Christi
urget nos" ("lamore di Cristo ci spinge")(2 Cor 5,14).
La morte lo colse a 56 anni, dopo quattordici anni di dedizione intensa e instancabile
al soccorso di persone malate, bisognose e abbandonate, "per incamminarle
come egli scrisse al Re nella via di lavoro e di salute", offrendo
loro "una stanza di educazione santa". La vita quotidiana del Cottolengo
era meno idillica di quanto poteva apparire ai curiosi visitatori che sovente
si recavano nella Piccola Casa. Difficoltà finanziarie, debiti ingenti,
lamentele dei creditori non resero agevole la vita del Cottolengo, il quale peraltro
si sentiva interiormente spinto a proseguire nelle sue opere di carità.
Egli sperimentò la solitudine delluomo di Dio e dissimulava angustie
e difficoltà mediante facezie di ogni genere.
Il Cottolengo non lasciò scritti particolari se non le lettere inviate
per lo più alle suore dislocate nel Regno di Sardegna,3 le poche regole
scritte per le comunità religiose da lui fondate4 e molte prediche. I testimoni
dei processi di canonizzazione tramandarono molti suoi detti che vennero poi raccolti
dal primo biografo del Cottolengo, il Padre Pietro Paolo Gastaldi degli Oblati
di Maria Vergine.
La fama di santità, di cui godette dopo la morte, ottenne il riconoscimento
della Chiesa che lo proclamò "santo" nel 1934.5
Lesempio di carità del Cottolengo fu di ispirazione anche per altri
fondatori, per esempio il beato Luigi Guanella (1842-1915) e san Luigi Orione
(1872-1940).
NOTE
1 Questo detto era noto a Torino, perché lo riporta L. CIBRARIO, Storia
di Torino, II, Torino 1846, p. 102. La frase è riferita da più
testimoni nel processo ordinario, cf. Luigi Cottolengo: «I cavoli di Bra
perché facciano buona riuscita bisogna che siano trapiantati» (PO,
sess. 113: ASV, FR, vol. 3909, f. 701); G. Costamagna: «I cavoli di Bra
hanno bisogno dessere trapiantati per prosperare» (PO, sess. 171:
ASV, FR, vol. 3910, f. 948); Alberto Cottolengo, PO, sess. 138: ASV, FR, vol.
3909, f. 811; L. Renaldi, PO, sess. 41: ASV, FR, vol. 3908, f. 364; suor Clara
Massola: «Correva voce che celiando abbia detto coi suoi colleghi che i
cavoli di Bra hanno bisogno di essere trapiantati per prosperare» (PO, sess.
445: ASV, FR, vol. 3912, f. 2307).
2 Lettera dell11 maggio 1842: Lettere di Silvio Pellico a Giorgio Briano,
Firenze 1861, p. 33, n. 25.
3 Le lettere sono raccolte in Carteggio di san Giuseppe Benedetto Cottolengo,
a cura di Lino Piano, Piccola Casa della Divina Provvidenza, 2 voll., Torino 1989-90.
4 Cf. Raccolta delle regole delle Famiglie Religiose della Piccola Casa della
Divina Provvidenza anteriori allapprovazione pontificia, Piccola Casa
della Divina Provvidenza, Torino 2000.
5 Per notizie più ampie sulla vita del Cottolengo, cf. LINO PIANO, San
Giuseppe Benedetto Cottolengo, Fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza
sotto gli auspici di San Vincenzo de Paoli (1786-1842), Torino 1996,
847 pp.
Dal volume Giuseppe Cottolengo.
Detti e pensieri, a cura di Lino Piano, © Edilibri 2005