Giuseppe Cottolengo. Detti e pensieri


Recensioni

“Osservatore Romano” (22 ottobre 2005)
I detti e i pensieri spirituali di Giuseppe Cottolengo, gigante della carità
La personalità di molti santi è espressa, oltre che nella vita e nelle opere, in alcuni pensieri o «detti». La «formula» (per chiamarla così) è presente già in «Padri del deserto». Non è un genere «letterario» quanto piuttosto una espressione agiografica, costituita da brevi frasi, talvolta poche righe, le quali, anche singolarmente prese, sono significative. Se messe insieme sono in grado di rivelare il cammino spirituale del santo e di indicare il suo livello di fede e di cultura teologica. Giuseppe Cottolengo (1786-1842) è uno dei giganti della carità cristiana del secondo millennio.
La Casa della Divina Provvidenza è un monumento di amore e di solidarietà umana e cristiana. Conoscerne il «fondatore», l’ideatore e il realizzatore è un dovere non solo dei cristiani, ma di ogni persona che faccia leale professione di amore per quell’umanità in cui la sofferenza assume forme più inquietanti. Ma solo un uomo totalmente di Dio, totalmente bruciato dall’amore per i fratelli – qual è stato il Cottolengo – poteva esserne capace. I suoi detti, i suoi pensieri sono vibrazioni espressive della sua mente e del suo cuore. Per cui si deve essere grati a Lino Piano se sono stati raccolti in un elegante volumetto e offerti al grande pubblico, in particolare ai devoti del santo: Giuseppe Cottolengo, Detti e pensieri.
La raccolta ne contiene 345. Il Cottolengo si presenta con il credito di un «maestro» di spirito, di un pedagogo di ascetica e di mistica, sin dalle prime pagine: «Amate Dio, andate avanti nella presenza di Dio; carità, carità; retta intenzione, orrore al peccato grande e piccolo». Sono queste, in sintesi, le direttive dei maestri di spirito dell’ascetica cristiana, nutrita di Sacra Scrittura, soprattutto di valori evangelici.
Dirette alle sorelle della carità, abbracciano la vita concreta, esistenziale: «Santificate tutte le opere vostre col farle per amore di Dio, siano le preghiere, siano gli esercizi della carità, siano altre cose, il riposo e il cibo». L’eco dell’ascesi paolina è più che evidente: i consigli, anzi, ne sembrano un prolungamento.
Il carisma della massima carità e del massimo amore è il costitutivo, il movente della spiritualità e della operatività del Cottolengo: «Nella persona dei poverelli la suora (da lui chiamata “figlia”) deve vedere Gesù Cristo; i più ributtanti devono essere ad essa i più diletti, perché rappresentano più al vivo Gesù; i più disgraziati sono le gioie, le perle della Piccola casa».
Non si ha difficoltà a riconoscere in queste espressioni il contenuto autentico del Vangelo in quelle parti dove Gesù si identifica con i poveri, i rifiutati e si attribuisce come fatto a se stesso tutto ciò che si fa ai fratelli che versano in quelle tragiche condizioni. La carità così concepita e praticata non ha limiti, sconfina negli orizzonti di Dio, che sono infiniti. Alle sorelle religiose il Cottolengo raccomanda di manifestare ed esercitare la carità come «epifania», manifestazione dell’amore divino: «La vostra carità deve essere condita con tanta buona grazia e belle maniere»; ed inoltre: «Siate deste e pronte a servire, non fatevi chiamare la seconda volta, interrompete e sospendete, qualunque altra occupazione, sebbene santissima, e di continuo siate sulle ali per volare in loro soccorso».
L’amore vieta ogni discriminazione sia in positivo che in negativo. Tutti gli infermi devono essere amati dello stesso amore con cui Dio ama noi. Se c’è una preferenza da fare, questa è per chi è più esacerbato dalla sofferenza, per chi è più provato dal dolore. Proclama il Santo: «Gli infermi più ributtanti devono essere le vostre perle, e le attenzioni che loro usate sono molto più meritorie, sono le rose più belle che potete presentare al Signore». La certezza è data dalla fede. Gesù – giudice giusto – darà a ciascuno il premio meritato: «Siate certe che Gesù Cristo non dimentica nulla di ciò che a lui fate nella persona dei poveri; quanto avrete provato di fastidi, di ripugnanza e disagi nell’assistenza dei vostri infermi, altrettanto avrete in cielo maggiore la ricompensa».
Il servizio ai poveri, agli infermi ha la stessa valenza e dimensione dell’amore, della dedizione a Dio. Pertanto le esigenze dell’amore possono spingere fino al supremo sacrificio, fino all’immolazione totale, connotato che il Cottolengo sottolinea con la sua esemplarità: «Lavoriamo, studiamo ed anche moriamo, ma sempre in Domino, in Domino». Del resto, Gesù stesso ha spiegato che il comandamento dell’amore è unico, ma bidirezionale: verticalmente ha per soggetto e termine Dio; orizzontalmente ha per destinatario il prossimo. La ragione è data dalla fonte, dalla sorgente, da cui quell’amore sgorga e fluisce. San Giovanni apostolo ed evangelista proclama che «Dio è amore». Ora quell’amore è riversato, per liberalità di Dio, negli uomini e nelle donne che così sono resi partecipi dell’amore divino e investiti della missione di diffonderlo, di parteciparlo, anzitutto a Dio in sommo grado e nella pienezza delle proprie forze, contemporaneamente si è tenuti a riversarlo nel prossimo, da amarsi in Dio e nella modalità di Dio.
Progredendo oltre la linea teologica, Cottolengo giunge ad attribuire ai poveri il titolo giuridico di «proprietari». «Tutti i poveri sono i nostri padroni; ma questi che all’occhio materiale sono sì ributtanti e sì brutti sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme». È raro rinvenire nella letteratura ascetica e spirituale una simile «teologia della carità». Non sono espressioni retoriche, enfatizzate. La persona umana non perde mai la sua dignità, i suoi diritti, la sua personalità, il comandamento dell’amore tuttavia introduce una nuova tipologia di «proprietà»: quella che scaturisce dalla dignità della persona alla quale Cristo si è assimilato. C’è, dunque, un titolo soprannaturale che nobilita il soggetto per la potenza di Cristo il cui effetto è assimilativo a Cristo stesso, ovviamente nella misura e nelle modalità recepibili della persona umana.
Il Cottolengo sconvolge i criteri convenzionali delle relazioni fraterne o amicali. La prassi corrente vuole che si faccia un dono, un regalo «materiale» il più possibile ambito e gradito dal ricevente. Nella teologia della carità il valore è dato dalla connotazione evangelica, dalla massima assimilazione all’amore di Cristo. Infatti il Cottolengo scrive: «Quando affido alla vostra cura un ammalato ben schifoso, è un regalo ed un premio che intendo di farvi». Solo nella luce della fede e della santità è comprensibile tale espressione. Al di fuori della fede si rischia di cadere nel sadismo.
San Paolo fu combattuto tra il restare nel corpo per proseguire la sua missione ovvero spiegare le vele per l’eternità. Il Cottolengo pare sia stato attraversato da un’analoga tensione. Alle suore confida: «Figlie mie, lasciate che questo vaso di corruzione si rompa, e non ve ne rincresca. Che cosa facciamo ancora su questa terra? Cupio dissolvi, cupio dissolvi». Più gli anni passavano e più avvertiva la fugacità del tempo e l’ora del tramonto: «Il tempo si fa sempre più breve, le ore sono sempre più poche, presto ci chiamerà e risponderemo all’appello». E soggiungeva: «Oh che gioia morire, oh quanta consolazione l’andare con Gesù e con la Mamma!». «Signore se mi volete, io sono qui tutto vostro (...) Oh Mamma Maria, sono vostro! Oh santa Madonna, eccomi qui! Paradiso, paradiso!» E concludeva: «Vergine santa, adesso tocca a voi, fate il vostro dovere: Mamma mia Maria, Mamma mia Maria!».
Questo è l’atteggiamento dei santi di fronte alla morte, accettata per amore come in un personalizzato esodo pasquale, in cui si tramonta al giorno storico per risorgere all’aurora di Dio, beati per tutta l’eternità.
(Gino Concetti)

“Il Sole-24 Ore” / Domenica (16 ottobre 2005)
Cottolengo, l’orizzonte della carità
A Torino il Cottolengo rappresenta una città nella città e al suo interno ospita, come avvolta in un guscio protettivo, una piccola roccaforte, un edificio che si confonde con gli altri. Ma lì, circondata dal silenzio, vive una piccola comunità monastica femminile. È il cuore di tutta la carità che ogni istante viene dispensata ai malati che popolano l’istituto. Giorno e notte, senza un attimo di sospensione, qualcuno veglia in preghiera. La forza, la ragione e l’impegno della carità verso i ricoverati che nessuno vuole e che qui vengono accolti e curati hanno una sola e semplice origine: la fede in Dio e nella Provvidenza. Così si era mosso Giuseppe Cottolengo (1786-1842) quando aveva avviato la sua opera di assistenza dopo aver visto morire sotto i suoi occhi una madre di tre figli respinta da tutti gli ospedali di Torino. I “rifiutati” avrebbero trovato accoglienza nella sua piccola infermeria finanziata con le donazioni anonime. Una follia economica che solo grazie alla fede sfida ogni pessimismo per diventare anche un miracolo economico.
Cottolengo, primogenito di dodici figli, sacerdote presso la chiesa di Torino, nel 1828 avvia «Il Deposito de’ poveri infermi del Corpus Domini» che, in seguito all’epidemia di colera, diventerà «La piccola casa della divina Provvidenza», comunemente detta il Cottolengo. «Nella Piccola casa non c’è altro padrone che Dio» scrive il santo canonizzato nel 1934. Un’affermazione che si trova nella raccolta dei suoi 345 detti ora ripubblicati in una edizione critica curata da Lino Piano. Un testo fondamentale per capire l’opera del Cottolengo e il suo fondatore, uomo per nulla teorico ma persona posseduta da Dio e dall’ansia della carità, quella carità che è strada maestra per essere “una cosa sola” con il Padre.
Il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1892 con il titolo Fiori e profumi. Nel 1928 diventò Diario Cottolenghino ripartendo i detti secondo temi affidati a ciascun mese dell’anno. Una sorta di breviario quotidiano da consultare per educarsi a una dirittura morale consegnando a ogni giorno un motto da vivere nei propri impegni. Pensieri brevi che puntano a sostenere e a modellare la personalità perché viva sempre di più della parola e della compagnia di Dio. […]
(Giovanni Santambrogio)

“Famiglia Cristiana” (n. 13 del 26 marzo 2006)
Cottolengo, dono d’amore
Don Lino Piano ha curato una nuova edizione delle riflessioni spirituali di san Giuseppe Cottolengo (1786-1842), il fondatore della torinese Piccola Casa della Divina Provvidenza, da cui si è diramata l’importante opera di assistenza a favore delle persone più svantaggiate. In 345 massime di carattere meditativo è sintetizzata la fede di questo grande santo moderno nell’amore di Dio. Se il credente sente questo amore, ci dice l’autore, la carità diventa una conseguenza automatica: avendo ricevuto da Dio, siamo portati a donare a nostra volta. Una lettura preziosa ed edificante.
(Roberto Carnero)

“La Stampa” (5 novembre 2005)
E il Cottolengo sfidò la Chiesa e la città
Con la pubblicazione dei Detti e pensieri di Giuseppe Cottolengo la biblioteca dedicata a questo grande santo sociale dell’Ottocento torinese si arricchisce di un prezioso volumetto. [...]
Il volumetto dei Detti e pensieri si mostra prezioso in quanto raccoglie in modo sintetico lo spirito della pedagogia cottolenghina condensato in 345 detti e pensieri estratti dal curatore dalle lettere del santo e dalle deposizioni dei processi di canonizzazione. Non si pensi a un qualcosa di già sentito. Al contrario, lo spirito formativo del Cottolengo conquista e persuade per la sua capacità di spiazzare. In questo senso la carità viene presentata come un lavoro duro, frutto di conquiste e rinunce soprattutto per ciò che riguarda le mortificazioni intellettuali, più difficili da superare di quelle corporali. In questo senso i ricoverati della Piccola Casa sono visti come «grandi di corte», «galantuomini» e «padroni», mentre coloro che li assistono appaiono i veri poveri. La Provvidenza Divina, superiore a quella dell’uomo, va intesa – oltre che per quel potere irrazionale che «più ne dà, più ne ha, e quando non ha più niente da dare è il momento in cui ne ha ancora di più» – per quella non-istituzione la cui fortuna è non avere niente.
Una contabilità rovesciata, dunque, regolata dal principio per cui «le nostre cambiali sono i fatui più deformi» e la cui ispirazione poggia sulla convinzione che sofferenza, povertà e malattia sono i doni offerti a chi, dando loro assistenza, sente il bisogno di redimersi.
(Oddone Camerana)

“Il Bollettino Salesiano” (marzo 2006)
Giuseppe Cottolengo. Detti e pensieri
Il Cottolengo è il “santo della Provvidenza”: «La Divina Provvidenza non manca, questo è di fede; dunque se manca a noi qualche cosa, non può essere se non per mancanza di confidenza da parte nostra». L’opera del Cottolengo a Torino ne è la prova più evidente. Il libretto ha l’intento di divulgare il pensiero del santo e di rinnovare il ricordo della sua vita e della sua opera. Presenta 345 suoi detti, pubblicati già nel 1892 dal suo primo biografo. Ripresentati oggi, questi “detti” sono utili per conoscere meglio un uomo che consacrò la sua vita a un’impresa d’amore unica nel suo genere. Era un santo energico e a tratti burbero, ma anche lieto, ironico e autoironico, che si dedicò agli altri con ardente tensione caritativa e grande capacità d’azione.
(Giuseppe Morante)

“La voce del Popolo” (6 novembre 2005)
Cottolengo: il primo lavoro è pregare
«Tagliate corto, quando siete interrogate del fine, della casa, dell’istituto, del come fate a vivere; se gli altri filano lungo, voi tagliate corto». Uno dei libri più importanti dell’Occidente è quello di Pascal, i Pensieri: un’opera mai completata, di cui ancora oggi bisogna «inventare», immaginare la struttura interna. Doveva essere un’apologia del cristianesimo, ma non venne finita per la scomparsa dell’autore, morto a 39 anni – si scrisse, giustamente, «di vecchiaia». Il libro dei «Detti e pensieri» del Cottolengo, curato da Lino Piano, fa pensare a Pascal. Nel matematico francese c’è lo sforzo continuo di riportare al pensiero, alla «coscienza» quel calore insopportabile, quell’entusiasmo che viene dalla fede e che non si può contenere. Nel libretto del Cottolengo, con tutto il pragmatismo piemontese possibile, torna lo stesso fuoco, la stessa ansia di un amore bruciante.
Il fondatore della Piccola Casa non si occupa di «pensare il cristianesimo»: ma le indicazioni che dà alla sua gente non sono chiacchiere da «praticone», rimandano continuamente a una fede che è comunque pensata (oltre che vissuta), e che deve fondare l’esistenza quotidiana di persone che su quella Provvidenza hanno scommesso tutto. Anche per questo il Cottolengo invita fin dall’inizio a «tagliare corto» sulle informazioni non essenziali, sulle cose che vanno e vengono: «La preghiera è il primo e più importante lavoro della Piccola Casa».
Per chi conosce il Cottolengo «da fuori» questo libretto di piccole frasi semplici è sconvolgente. Sappiamo tutti che il canonico si preoccupa di fondare l’anima delle sue figlie su un amore smisurato ai poveri, e sulla predilezione per i «poveri più poveri», per i portatori di malattie e handicap ripugnanti ecc. Ma il vero lavoro di formazione, l’unico che compie e che torna continuamente nelle sue parole, è la fede, l’abbandono alla Divina Provvidenza. Dietro ogni considerazione, torna con insistenza un solo pensiero: è la Provvidenza che fa tutto, a noi tocca solo riconoscere Cristo e il suo amore nei fratelli che ci piombano davanti: «Non registrate ciò che la Divina Provvidenza ci manda; essa è più pratica di noi nel tenere le partite, e non vogliate mai sapere il numero dei ricoverati, perché questo è un farle torto; non immischiatevi dei suoi affari: ché state quieti, essa non ha bisogno di noi». Essa non ha bisogno di noi: la verità vera, al fondo, è che tocca a noi lo slancio, il salto nell’amore, per non rimanere tagliati fuori.
Il volumetto raccoglie 345 detti del santo pubblicati già dal suo primo biografo, padre Gastaldi, con il titolo antico e suggestivo Fiori e profumi raccolti dai detti. Su queste parole, come nota il padre generale della Piccola Casa don Sarotto, continuano a formarsi suore, fratelli, preti cottolenghini, che vengono richiamati alla concretezza dello spirito del fondatore. Il libretto ha carattere divulgativo ma è corredato da note che consentono di collocare le parole del santo nel contesto in cui furono pronunciate o scritte.
(Marco Bonatti)

“Viator” (n. 11, novembre 2005)
Piccolo ma prezioso libro, curato da don Piano della casa madre del Cottolengo, che presenta 345 detti del Santo, raccolti e pubblicati già nel 1892 dal suo primo biografo, padre Gastaldi. Incredibilmente attuale, emerge in tutto il suo vigore il messaggio spirituale ed umano dell’agire per gli ultimi, al di là di ogni credo.

“Il Corriere del Sud” (n. 17, 1-15 novembre 2005)
Una vita per gli ultimi
La fine del XVIII e tutto il XIX secolo hanno rappresentato per il Piemonte un tempo di grazia straordinaria, per la contemporanea presenza di Santi dallo spessore eccelso. Santi non solo perché uomini e donne pii e pieni di timor di Dio, ma anche per la loro singolare carica umana, per il carisma indiscusso messo a servizio dei più deboli, per la loro tenacia nel sociale: Brunone Lanteri, Giulia di Barolo, Leonardo Murialdo, Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso, Faà di Bruno, Giuseppe Cottolengo e altri ancora, ognuno con la sua speciale chiamata. Ognuno soprattutto con la sua speciale risposta, densa di eventi straordinari e di carità fattiva.
In questa Torino terra di santi uno dei più conosciuti è sicuramente Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Il nostro Santo nacque a Bra, in Piemonte, il 3 maggio 1786, primo di dodici figli, all’interno di una famiglia benestante e profondamente cattolica. Il padre era un bravo mercante e per lui era normale pensare al figlio primogenito in termini di prosecutore della lucrosa attività di famiglia. Ma le cose andarono diversamente, e così quando il giovanetto manifestò l’intenzione di prendere gli ordini sacri, i genitori accettarono intravedendo nel figlio i segni sicuri della vocazione.
Non fu un’eccezione nella sua famiglia, perché più tardi anche due suoi fratelli accederanno alla vita consacrata, accompagnando e sostenendo l’opera del fratello maggiore. Diventato sacerdote nel 1811, il Cottolengo eccelse negli studi e fu buon predicatore, tanto da sembrare avviato ad una brillante carriera teologica. Ma neppure questa era la sua strada. Intorno ai 40 anni maturò, impetuosa, la vocazione nella vocazione. È il modo di procedere di Dio Padre, che spesso si compiace di chiamare a scelte ancora più radicali e speciali chi già ha lasciato il mondo. Un episodio drammatico sconvolse la sua tranquilla vita sacerdotale. Un giorno lo chiamarono per dare l’estrema unzione a una giovane mamma, Maria Gonnet, che per la sua condizione di partoriente e di malata cronica non aveva trovato posto negli ospedali di Torino. Morta quella donna quasi fra le sue braccia, si ripromise che avrebbe fatto di tutto per impedire che anche una sola vita umana andasse perduta a causa di un’inadeguata assistenza sanitaria. Fu così che cominciò col prendere in affitto uno stanzone al centro di Torino – che poi diventerà la Piccola Casa – dove accolse i primi “incurabili”, fra i più poveri e derelitti della città. Naturalmente fu solo l’inizio, perché da allora la casa originaria si spostò nel quartiere periferico di Valdocco, proprio quello che pochi anni dopo vedrà San Giovanni Bosco protagonista – con il suo famoso “metodo preventivo” – fra i ragazzi abbandonati di Torino. Lo stesso don Bosco, fra l’altro, da giovane prete servì negli ospedali, anzi, nelle famiglie, del Cottolengo. Famiglia: fu questa la straordinaria intuizione del Santo, che, a fronte degli inevitabili regolamenti sanitari e burocratici, strutturò i propri padiglioni sul modello di tante famiglie, dove ciascuno aveva comunque e sempre un compito da svolgere. Nessuno, dunque, benché ammalato o storpio, poteva considerarsi inutile o di peso per gli altri.
Come in tutti i casi di carità operosa, alla base del successo vi era la preghiera e soprattutto l’abbandono alla Divina Provvidenza. Nonostante i debiti che lo accompagnarono per tutta la vita, e con cui riuscì a convivere in serenità, l’opera sanitaria, assistenziale ed educativa realizzata da Giuseppe Cottolengo produsse centri di eccellenza professionale.
Come per tutti i Santi, la sua opera gli sopravvisse. Con le sue diramazioni in Africa, in India e in Sudamerica, il Cottolengo è oggi il luogo dove migliaia di ultimi, disabili e ammalati cronici, trovano sollievo e un cuore sempre amico ad attenderli.
(Roberto Cavallo )


Recensioni al volume
Giuseppe Cottolengo. Detti e pensieri, © Edilibri 2005


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