La sicurezza degli OGM
Prefazione - OGM, modelli di agricoltura e organismo sociale
di Gaetano Sinatti (1)
È particolarmente meritevole proporre al pubblico italiano il libro dei coniugi Pusztai, dato che la questione dell’utilizzo degli OGM torna oggi a collegarsi strettamente non solo a domande fondamentali sul futuro dell’agricoltura mondiale ma, in definitiva, a quelle ancor più complesse sul modello di sviluppo delle società attuali.
L’agricoltura cosiddetta industriale infatti, intendendo con questo termine la combinazione in campo di meccanica, chimica e biotecnologie, ha una storia tutto sommato breve se rapportata alla lunga storia dell’agricoltura: possiamo dire che questo modello si afferma nel mondo anglosassone sul finire del XIX secolo (2) e diviene, nel corso degli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento, con la cosiddetta Rivoluzione Verde, il modello di riferimento di tutto il mondo, puntando ad uno sviluppo agricolo imperniato sull’aumento delle rese ad ettaro. Si tratta, in realtà, di quella che potremmo definire, usando un termine tratto dalla storia dell’agricoltura antica, l’eccezione dominante (3), nel senso che risulta essere un insieme di conoscenze e tecniche applicabile ed applicato ad aree tutto sommato circoscritte del globo, ma con un potere d’impatto commerciale ed economico tale da divenire rapidamente, appunto, il fattore dominante per i mercati delle materie prime agro-alimentari, poiché ne diventano portatrici, a livello globale, le grandi multinazionali che trattano commodities agricole, sementi, prodotti chimici.
Da questo modello, fin da subito, va storicamente distinguendosi un altro approccio, sostanzialmente incentrato sull’idea che l’agricoltura opera entro un organismo naturale più ampio e per questo deve ricercare una profonda armonizzazione fra la tecnica umana e i fattori costituenti il vivente (4): le Reform Haus tedesche, gli studi di sir Albert Howard in India e Gran Bretagna, di Hans Muller e Hans Peter Rush in Svizzera e soprattutto la riflessione di Rudolf Steiner, che inserisce il lavoro agricolo umano in una relazione più ampia con le forze del cosmo, propongono il concetto di un’agricoltura (organica, biologica, biodinamica) che operi in sintonia con le forze visibili ed invisibili della Natura.
Negli anni Novanta dello scorso secolo, lo sviluppo della genetica e la sua applicazione tecnologica in campo hanno messo capo alla diffusione di un’agricoltura che trova nelle colture geneticamente ingegnerizzate (OGM) la sua punta di lancia. Si tratta, a ben vedere, dell’ultima conseguenza del sistema agricolo industriale: l’insorgere, negli anni Settanta, soprattutto negli USA, in alcune coltivazioni-chiave, di estesi problemi di resistenza agli erbicidi e di diffusione delle patologie, derivanti dall’uso massiccio di input chimici e dalla concentrazione delle produzioni su pochissime varietà – conseguente ai sistemi spinti di ibridazione – rende infatti commercialmente interessante per le grandi multinazionali agro-chimiche e sementiere investire nell’applicazione pratica della genetica alla produzione in campo di alcune colture (mais, soia, colza, cotone).
Oggi, su 1500 milioni di ettari di terreno arativo censiti dalla FAO (Food and Agriculture Organization) a livello mondiale, circa 100 milioni di ettari sono coltivati utilizzando colture OGM, mentre circa 30 milioni di ettari vengono coltivati secondo i diversi metodi dell’agricoltura organica.
Risulta chiaro, a questo punto, che la grande maggioranza dell’agricoltura mondiale, che è in prevalenza ancora un’agricoltura di sussistenza e di auto-approvvigionamento, si troverà in futuro, in un sistema di relazioni economico-commerciali sempre più mondializzato, a dover optare per uno dei due orientamenti, quello di un’agricoltura spinta ancora di più sulla via dell’ingegnerizzazione genetica, oppure quello della ricostituzione di un sempre più attento rapporto tra uomo, agricoltura e ambiente. Siamo quindi a un bivio che comporta scelte che hanno evidenti implicazioni di carattere sociale che vanno ben oltre lo specifico settore agricolo e le sue problematiche di carattere tecnico-agronomico.
Il modello industriale-biotecnologico di sistema produttivo agricolo, infatti, introduce almeno tre elementi che rappresentano qualcosa di radicalmente nuovo nella storia dell’uomo: primo, si tratta di un sistema vasto e fortemente concentrato di forze scientifiche, finanziarie e politiche, mentre l’agricoltura organica è storicamente nata basandosi sull’auto-organizzazione e sull’associazionismo fra produttori agricoli; secondo, quel modello inserisce nell’agricoltura mondiale dei fattori di cambiamento biologico irreversibili, nel senso che, una volta penetrati nei campi, gli OGM non sono più eliminabili; terzo, opera come un modello tecnico invasivo, nel senso che le colture OGM si diffondono con grande facilità anche nei campi, nelle filiere produttive e negli alimenti che vorrebbero restare non-OGM. Chi si occupa da vicino, per esempio, della questione della cosiddetta coesistenza fra OGM e le altre colture non-OGM, che negli ultimi anni l’Unione Europea sta tentando di imporre ai Paesi membri, si sta scontrando con gravissimi problemi tecnici in quanto, a un’analisi applicativa, la possibilità di coltivare, l’una accanto all’altra, colture OGM e non-OGM, presenta difficoltà praticamente insormontabili quando si volesse seriamente tutelare l’identità delle coltivazioni non-OGM.
Fra queste ultime, lo ricordiamo, sono presenti fra l’altro molte delle produzioni certificate di qualità tipica e tradizionale di cui l’Europa è ricchissima e che rappresentano non solo una materia prima alimentare, ma soprattutto un patrimonio di cultura antichissima (5).
Nella migliore delle ipotesi, infatti, i sistemi di identity preservation (preservazione di identità) che si stanno approntando a difesa dei prodotti non-OGM comportano per gli agricoltori costi aggiuntivi altissimi, che si traducono in una minore competitività commerciale delle produzioni di qualità rispetto a quelle biotech.
Ma non basta: a rendere più complessa la questione, proprio nel corso dell’ultimo biennio, si aggiunge il fatto che, a seguito dell’impressionante aumento dei prezzi delle materie prime agricole sui mercati mondiali, conseguente alla riduzione delle scorte mondiali dei cereali, alla diffusione in agricoltura di produzioni energetiche in competizione con quelle alimentari e alla speculazione legata ai nuovi strumenti finanziari cosiddetti derivati (6), che hanno spostato qui ingenti risorse finanziarie dai mercati cedenti, la produzione delle colture OGM viene indicata dai suoi fautori come la soluzione ideale per allontanare il pericolo di un nuovo dilagare della fame nel mondo (7), sulla base di una presunta maggiore produttività per ettaro, un dato che proprio Pusztai ha fra l’altro modo di contestare facilmente nel suo libro.
Nei prossimi mesi sentiremo quindi spesso riprendere questo argomento dai portavoce della potente industria delle multinazionali biotecnologiche (8): esso infatti è utile, anche a livello comunicativo, in quanto permette di risolvere un problema fondamentale che l’industria biotech ha finora incontrato con l’opinione pubblica mondiale: cioè il rifiuto, da parte della stragrande maggioranza dei consumatori finali, del cibo biotecnologico.
È questo rifiuto, sancito in decine di sondaggi di opinione in giro per il mondo, che ha comportato seri problemi alla diffusione commerciale delle produzioni agro-alimentari OGM: la richiesta di etichettatura, la politica di molte catene della grande distribuzione di non proporre prodotti contenenti OGM, la diffusione di certificazioni OGM free a garanzia di tali scelte, i movimenti per la creazione di aree agricole no OGM a livello regionale in molti Paesi europei (9) e del mondo, sono solo alcuni dei più importanti strumenti con cui si cerca di arginare la massiccia e silenziosa diffusione “nel piatto” di questi alimenti, non desiderati dai consumatori.
Ecco allora spiegata la criticità del momento attuale, per comprendere il quale il libro di Pusztai rappresenta un punto di riferimento, dato che si tratta di una voce altamente qualificata, oggettiva ed equilibrata, ma estremamente convincente e decisiva nelle sue conclusioni.
I meriti del libro, come potremo constatare, sono infatti numerosi. In primo luogo, per il fatto che si trova qui un serio esempio di divulgazione di alto livello scientifico, grazie alla quale anche persone non dotate di competenze specialistiche possono farsi una propria opinione sui punti fondamentali della questione. Troppo spesso infatti gli scienziati tendono oggi a usare della scienza come gli ecclesiastici facevano delle Sacre Scritture, prima che si affermasse il valore del libero esame – solo alcuni potevano essere infatti i detentori delle chiavi del sapere, della decifrazione dei misteri, dei fondamenti del dogma: da qui il loro potere sulle coscienze. È davvero tempo che la scienza si sforzi di rendersi intelligibile ai più, soprattutto allorché essa entra, coi prodotti derivati dalla sua applicazione pratica, la tecnologia, nei corpi delle persone e negli organismi socio-economici, visto l’impatto economico planetario delle sue attività.
La lettura del libro, infatti, mette impietosamente in luce il progressivo abbandono, nell’approccio scientifico seguito dall’industria biotecnologica, dai laboratori di ricerca ad essa collegati e dagli stessi enti pubblici demandati ai controlli, dell’originario proposito galileiano del provando e riprovando che, come procedimento rigoroso di pensiero, dovrebbe restare centrale nel metodo per indagare la natura: viene infatti dimostrato da Pusztai, per esempio, che il presupposto scientifico da cui parte la ricerca e la sperimentazione sugli OGM, la credenza secondo cui “ciascun gene determina un’unica proteina o un suo dominio”, è oggi del tutto superato, nonostante ci si ostini a riaffermarlo in maniera che non si può che definire dogmatica. È evidente l’impatto di questo nuovo dogma, per fare un solo esempio, su tutta l’impostazione della valutazione di rischio in materia.
Lo stesso vale per le promesse che l’industria biotecnologica ha presentato all’opinione pubblica mondiale rispetto ai risultati futuri che la ricerca scientifica avrebbe prodotto, per potere in tal modo giustificare, come indispensabili passaggi intermedi di un irreversibile sviluppo, le attuali applicazioni in campo agricolo della ricerca stessa. Su questo piano era già illuminante la storia del primo caso commercialmente noto di applicazione delle biotecnologie alla produzione agricola, quello del pomodoro Flavr Savr, così come lucidamente descritto proprio da una delle ricercatrici che ha partecipato allo sviluppo del prodotto bandiera dell’industria agro-biotecnologica (10), il quale, nonostante il suo totale fallimento (11), infatti, «aveva spalancato l’orizzonte al resto della flotta agro-biotech» (12).
Questo vale anche per le mirabolanti prospettive che la rivoluzione genetica prometteva all’agricoltura: esse in realtà si sono finora concretamente tradotte, a dieci anni dalla diffusione delle produzioni agro-biotecnologiche, nell’impiego di due sole tecnologie, quella Roundup Ready, rivolta a creare colture resistenti all’erbicida totale glifosato, e quella Bt, che ingegnerizza componenti del Bacillus Thuringiensis. I 100 milioni di ettari attualmente coltivati a colture biotech in tutto il mondo utilizzano queste due sole tecnologie: le mille altre aspettative fatte balenare davanti all’opinione pubblica, le biotecnologie di “seconda” e di “terza” generazione, si sono dimostrate, almeno fino ad ora, dei miraggi, proprio come il mitico pomodoro Flavr Savr.
L’importanza delle conseguenze dell’impostazione dogmatica della scienza attuale viene giustamente evidenziata dai coniugi Pusztai, anche in merito alla cruciale derivante scarsa attendibilità rispetto al governo del sistema di controllo pubblico, comprendente anche le procedure di autorizzazione all’immissione nell’ambiente degli organismi geneticamente ingegnerizzati: i limiti di pensiero con cui sono impostate le metodiche di verifica sono attentamente chiariti, nei loro nodi critici, dagli Autori che, in questo modo, fanno ben comprendere come l’abbandono del principio di precauzione non sia una scelta casuale delle politiche pubbliche, ma rappresenti un immotivato cedimento alle pressioni del complesso scientifico-industriale che ha sviluppato le biotecnologiche per l’agricoltura.
Il libro è poi importante perché i coniugi Pusztai non sono solo scienziati e ricercatori: con le loro vicende personali, essi sono autorevoli testimoni di cosa è avvenuto negli anni Novanta, nei sistemi della ricerca scientifica occidentale, a causa degli enormi interessi economici e politici che hanno cominciato a ruotare intorno alla questione degli OGM. E la loro testimonianza è stata pagata di persona ad un prezzo altissimo, per il solo fatto che questi studiosi hanno scelto di restare moralmente fedeli all’indipendenza di pensiero e di osservazione che la loro coscienza gli imponeva. Come testimoni qualificati, fanno così luce su un problema a nostro avviso centrale, quello del rapporto fra scienza e libertà di pensiero, che in realtà dovrebbe essere la premessa interiore per qualsiasi percorso di indagine scientifica.
Di conseguenza, è fondamentale il fatto che il libro affronta un’altra questione ineludibile per la società attuale, quella del rapporto fra scienza, economia e politica (13). Nella vicenda che ha visto come protagonisti i coniugi Pusztai al Rowett Institute nel 1998 (14), infatti, emerge il fatto che la ricerca scientifica è oggi strettamente intrecciata con il business, il quale, a sua volta, è oramai in grado di orientare gli uomini e i partiti politici. Nel caso specifico, la questione della valutazione della pericolosità o meno degli alimenti geneticamente ingegnerizzati toccava le prospettive di finanziamento dell’Istituto, le quali a loro volta dipendevano dal ben volere del governo Blair allora in carica in Gran Bretagna – un governo, come si sa, che si era fortemente speso a favore delle biotecnologie. I risultati ottenuti da Arpad Pusztai, rimettendo in discussione il punto centrale della sostanziale equivalenza dei prodotti OGM, facevano cadere uno dei punti ritenuti inattaccabili dal complesso scientifico politico industriale organizzatosi intorno al grande affare delle produzioni agricole ingegnerizzate geneticamente.
Veniamo quindi a toccare un punto che ha una straordinaria importanza, ben oltre la questione delle colture OGM, per il presente e per il futuro delle società post-industriali, nelle quali il rapporto con la tecnica ha dimostrato di comportare rischi almeno equivalenti ai benefici che ha arrecato: l’approccio riduzionista e positivista che aveva alimentato un’illimitata fiducia, nel XIX e in parte nel XX secolo, nei confronti dei risultati dello sviluppo tecnico-scientifico, mostra ora di avere raggiunto i suoi limiti. Essi stanno proprio nel fatto che il prevalere di interessi economici di dimensioni mai raggiunte in passato, il fatto che, grazie alla forza del denaro, essi abbiano finito per dilagare oltre l’ambito puramente economico-finanziario, per giungere a condizionare in profondità sia la componente politico-giuridica che quella intellettuale-scientifica del corpo sociale, rendono questo intreccio un reale elemento patologico delle società contemporanee.
Consigliamo il lettore di leggersi in Appendice la ricostruzione della vicenda dei coniugi Pusztai in questa chiave di lettura, per rendersi conto appieno di quanto questa vicenda, che data ormai dieci anni, avrebbe dovuto allarmare l’opinione pubblica europea e mondiale assai più di quanto non sia avvenuto, se correttamente analizzata: l’isolamento che scatta intorno ad Arpad Pusztai, non appena i detentori del potere scientifico si rendono conto che le sue dichiarazioni non sono allineate con quelle del complesso industriale-scientifico-politico al potere in Gran Bretagna, ha un valore concettualmente equivalente alla scomunica degli “eretici” di ogni tempo passato.
Si evidenzia a questo punto un fatto estremamente significativo, che occorre mettere in rilievo rispetto alla troppo facile soluzione di quanti si limitano ad invocare che la ricerca scientifica sia affidata alla mano pubblica. Si tratta di una visione purtroppo limitata, legata a vecchi modelli, in cui lo Stato-Nazione poteva vantare ancora effettiva sovranità e autonomia: oggi non è più così, il potere di concentrazione di industria, scienza e politica segue linee di collegamento internazionali, prescinde dalla valutazione degli interessi di una comunità o di un popolo, risponde a interessi ben più vasti e articolati, che sfuggono alla dinamica della democrazia politica e al sistema, ormai ingenuo, della separazione dei poteri nell’ambito dello Stato.
È questo l’equivoco in cui cade tuttora assai spesso gran parte dell’opinione pubblica. Lo Stato non è più da tempo garanzia di indipendenza, terzietà e tutela dei legittimi interessi collettivi.
Il caso inglese ad esempio lo mostra chiaramente: risulta evidente, proprio dalla vicenda dei Pusztai, che vi sia stato un diretto intervento del governo britannico nel tentativo di confinare prima e mettere a tacere poi la voce di questo ricercatore realmente indipendente (15). Non è una pura malignità, in quanto Tony Blair si è storicamente e pubblicamente proposto come uno dei fautori dello sviluppo delle biotecnologie, e l’agosto del 1998 «era il momento in cui il Primo Ministro stava impegnando il Regno Unito nell’assumere un ruolo di leader nella rivoluzione biotech» (16), come Blair stesso ebbe modo di dichiarare pubblicamente anche in seguito, nel 2000, in quanto vedeva in essa uno strumento di affermazione dell’egemonia culturale, scientifica e politica del mondo anglosassone in Europa, nella prospettiva del Terzo Millennio:
«Le biotecnologie sono la prossima fase di sviluppo dell’economia della conoscenza ed io voglio che l’Inghilterra ne divenga il punto cardine europeo.
Si tratta di una industria il cui mercato, soltanto in Europa, viene valutato [stima prevista] in oltre 100 miliardi di dollari USA nel 2005. I lavoratori impiegati nelle aziende biotech e nell’indotto, così come quelli il cui lavoro dipenderà dalle applicazioni biotech, potrebbe raggiungere i 3 milioni di unità, cosicché potremmo raggiungere il livello dell’industria USA, attualmente otto volte quello dell’Europa. Con la nostra eccellente base scientifica, i nostri sofisticati mercati di capitali e la nostra industria di capitali di investimento, l’ampio numero di competenti scienziati e manager del nostro settore farmaceutico e i nostri investimenti nella ricerca […], l’Inghilterra è nella posizione migliore per assumere la guida del settore in Europa.
In Europa, i tre quarti dei prodotti medici biotecnologici nell’ultima fase di sperimentazione clinica sono prodotti da aziende inglesi. Il settore biotecnologico in Germania è in forte crescita. Tuttavia i giganti della biotecnologia inglesi, come Celltech, dominano il continente. Voglio essere chiaro: non vogliamo lasciar decadere la nostra leadership e siamo pronti a sostenere questo impegno con investimenti» (17).
Se dunque le strategie del complesso politico, culturale e industriale influenzano in profondità perfino i massimi livelli di governo delle moderne democrazie, l’intervento pubblico in realtà non fornisce più sufficienti garanzie di indipendenza di valutazione: si profila di conseguenza un nuovo tipo di ineguaglianza entro gli organismi sociali, legata alla cosiddetta asimmetria delle informazioni. Il largo pubblico, infatti, non sa tutto quello che dovrebbe sapere per poter valutare e decidere in maniera pienamente consapevole, avvalendosi degli strumenti democratici: questo è risultato particolarmente evidente proprio nel caso delle biotecnologie ma anche in quello, per fare un altro esempio ben noto, della recente crisi finanziaria dei cosiddetti subprime, esplosa a partire dall’estate 2007, tutti e due eventi che hanno coinvolto, nei più diversi Paesi, milioni di persone inconsapevoli. Gli Stati non hanno dimostrato di possedere né la volontà politica né gli strumenti istituzionali per intervenire, in nessuno dei due casi.
Questa ineguaglianza sul piano della conoscenza, che paradossalmente si determina proprio entro un’economia che si vuole basata sulla conoscenza (18), si trasforma subito in ineguaglianza di diritto in quanto, per esempio, l’attuale complesso sistema autorizzativo che presiede alla diffusione commerciale (vendita delle sementi e quindi coltivazione) degli OGM in Europa, al di là di un quadro normativo assai confuso, come viene riconosciuto dagli studiosi (19), mancando la mediazione di una ricerca e di una scienza realmente indipendenti, pone il semplice cittadino nell’impossibilità di controllare, attraverso gli strumenti democratici, i poderosi processi di mutamento tecnologico che investono la sua vita nella forma più diretta, il cibo, modificando le tecniche di produzione degli alimenti e di diffusione nell’ambiente agricolo. Viene quindi violata, sul piano del diritto, la sovranità politica del popolo, per un verso, e la libertà di scelta economica, per l’altro, se guardiamo lo stesso scenario con gli occhi del cittadino nelle vesti di soggetto economico, in quanto consumatore.
Il nodo è dunque veramente epocale per il futuro assetto delle nostre società, dei diritti e dei doveri dell’uomo in esse, del rapporto fra libera individualità umana e poteri organizzati dell’industria, della scienza, della burocrazia. Nel momento in cui la logica del profitto ha penetrato in profondità ogni area di potere, privato e pubblico, nelle società post-industriali moderne, la soluzione del patologico intreccio fra scienza, economia e amministrazione pubblica va affrontata senza indugio. Occorre cioè ripensare a tutto il rapporto fra queste tre funzioni fondamentali dell’organismo sociale, se si ha a cuore da un lato la libertà individuale e dall’altro la coesione sociale all’interno delle nostre comunità; occorre ripensare di conseguenza il ruolo dello Stato che, ben oltre l’impostazione anglosassone della balance of power, dovrebbe porsi oggi il problema di fare semmai dello Stato il garante dell’indipendenza reciproca fra le tre funzioni sociali fondamentali (culturale-scientifica, economico-produttiva, giuridico-amministrativa).
La questione della diffusione delle coltivazioni biotech in agricoltura e del cibo da esse derivato sulle tavole della gente comune è quindi un’occasione di straordinaria importanza, sia per comprendere i veri mutamenti in atto nelle nostre società, sia per cominciare a costruire delle soluzioni efficaci per affrontarli, fuori dalle impostazioni ideologiche del passato, ormai del tutto insufficienti.
In definitiva, il valore profondo della testimonianza degli Autori sta in questo impegno fondamentale, di cui le individualità più attente sono ancora capaci, per la libertà dell’uomo: per questo ad essi non può che andare tutta la nostra gratitudine.
NOTE
1) Coordinatore dell’Associazione Terre dell’Adriatico, www.adrialand.it.
2) Possiamo prendere come riferimento cronologico il 1893, quando Henry Gilbert e John Bennet Lawes – gli studiosi inglesi che avevano svolto a Rothamstead, nello Hertfordshire, per quarant’anni fondamentali sperimentazioni tese a dimostrare che l’azoto è «il fattore che esercita l’influenza determinante sulla produzione dei cereali, grano e orzo» – presentano ai responsabili delle stazioni sperimentali di tutti gli Stati Uniti, al Massachusetts Agricultural College di Amherst, le conseguenze agronomiche ed economiche delle loro sperimentazioni: cfr. A. Saltini, I semi della civiltà - frumento, riso e mais nella storia delle società umane, Edizioni Avenue Media, Bologna, 1996, pp. 140 sgg. Questi principi, che per la prima volta includono l’idea di una sostanziale equivalenza fra concimazione chimica azotata e uso del letame, troveranno terreno fertile nelle particolari condizioni agricole degli USA, dove terre vergini, grandi estensioni ed avanzata meccanizzazione rendono rapidissima la diffusione del modello industriale di coltivazione. Ad esso, negli anni Venti e Trenta del XX secolo, si accompagnerà anche lo sviluppo delle tecniche di ibridazione, in particolare del mais, e l’impiego degli erbicidi e degli antiparassitari, gli elementi della triade tecnico-agronomica che, diffusa come Rivoluzione Verde nel secondo dopoguerra, imporrà a livello mondiale, anche al Terzo Mondo, il modello dell’agricoltura industriale.?
3) J. Kolendo, L’agricoltura nell’Italia romana: tecniche agrarie e progresso economico dalla tarda repubblica al principato, prefazione di Andrea Carandini, Editori Riuniti, Roma, 1980.
4) Consigliamo in particolare la sintetica ma puntuale analisi delle diverse “altre agricolture” in C. Malagoli, Etica dell’alimentazione - prodotti tipici e biologici, OGM e nutraceutici, commercio equo e solidale, Aracne editrice, Roma, 2006, pp. 107-116.
5) Riferimenti di dettaglio alle problematiche operative della coesistenza stanno utilmente derivando dal progetto Life Environment 2005 “Sapid” (Strategia per la difesa dell’identità dei prodotti agricoli - Protezione su vasta scala dell’identità dei prodotti agricoli dalla contaminazione con OGM), in corso di svolgimento nella Regione Marche: HYPERLINK "http://www.sapidlife.org" www.sapidlife.org.
6) Il mercato dei futures (strumenti finanziari che scommettono sul valore futuro di un prodotto) sui prodotti agricoli si è ampliato dai 5 miliardi di dollari del 2000 agli oltre 175 miliardi di dollari nel 2007. Alla Chicago Board of Trade, la borsa merci agricola di Chicago, la principale nel mondo, si prevede un’ulteriore crescita del 73% per i futures del grano e del 52% per quelli della soia (“Il Sole 24 Ore”, 7 giugno 2008).
7) Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), nel 2008, ben 37 Paesi sono minacciati dalla fame: cfr. D. Ballard, Comment le marché mondial des céréales s’est emballé, “Le Monde Diplomatique”, maggio 2008
8) Consigliamo la consultazione del documentatissimo sito dell’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), che opera a sostegno dell’agricoltura biotech ed è espressione della sua industria e dei relativi think-tanks: HYPERLINK "http://www.isaaa.org" www.isaaa.org.
9) Ricordiamo due utili siti di informazione sulle Regioni ogm free:
http://www.gmo-free-regions.org e www.gmofree-euregions.net.
10) B. Martineau, Il primo frutto, Sironi Editore, Milano, 2003.
11) «… anche dopo la modificazione genetica con il gene Flavr Savr la maggior parte delle varietà di pomodoro non risultavano più sode e consistenti durante la maturazione in campo. Le poche che erano più resistenti nella fase finale della maturazione comunque non potevano sopportare la manipolazione ed il trasporto», ivi, pp. 233-234.
12) Ibidem.
13) Si veda in particolare il capitolo 6.
14) Un’affidabile ricostruzione giornalistica della vicenda in J.M. Smith, L’inganno a tavola, Nuovi Mondi Media, Ozzano dell’Emilia, 2003, pp. 17 sgg. Si vedano nell’Appendice del presente volume i passi salienti di quella ricostruzione.
15) Venne scomodato niente meno che Lord May, allora capo consigliere scientifico del governo Blair, poi presidente della Royal Society inglese, per dichiarare che Pusztai aveva violato «ogni canone di rettitudine scientifica». Come si sa, nel 2005, venne poi rivelato dalla stampa inglese che la Monsanto aveva sviluppato un voluminoso studio ad uso interno, tenuto rigorosamente segreto, che arrivava, in merito ai danni subiti dai topi cui era stato somministrato cibo contenente mais Mon 863, a conclusioni non diverse da quelle dimostrate da Arpad Pusztai. Tutta la vicenda venne ricostruita da Geoffrey Lean, Environment Editor dell’“Independent on Sunday”, Revealed: health fears over secret study into GM food. Rats fed GM corn due for sale in Britain developed abnormalities in blood and kidneys, 22 maggio 2005.
16) Ibid.
17) T. Blair, intervento ufficiale alla European Bioscience Conference, Londra 17 novembre 2000. http://www.number-10.gov.uk/output/Page1548.asp.
18) Il riferimento è alla nota dichiarazione del Consiglio Europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000, il cui incipit era del seguente tenore: «L’Unione europea si trova dinanzi a una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza. Questi cambiamenti interessano ogni aspetto della vita delle persone e richiedono una trasformazione radicale dell’economia europea. L’Unione deve modellare tali cambiamenti in modo coerente con i propri valori e concetti di società, anche in vista del prossimo allargamento».
19) Un recente eccellente esame del sistema autorizzativo sugli OGM, delle sue peculiarità e contraddizioni in A. Spina, “La regolamentazione ‘multilivello’ degli OGM: procedure di autorizzazione, principio di ‘coesistenza’ e vuoti normativi”, Amministrazione in Cammino, Luiss University Press, Roma, 2007. Per una documentazione on line sulla normativa e sulle autorizzazioni finora rilasciate dall’Unione Europea rimandiamo a: www.sapidlife.org; http://gmoinfo.jrc.it; si vedano anche le informazioni della Commissione Europea: HYPERLINK "http://ec.europa.eu/environment/biotechnology/index_en.htm" http://ec.europa.eu/environment/biotechnology/index_en.htm.
Prefazione di Gaetano Sinatti al volume La sicurezza degli OGM, © Edilibri 2008